Il giudizio psichiatrico
costituisce la prima
e più diffusa segregazione

Nonostante in Italia sia stata approvata nel maggio del '78 una legge che prevede formalmente il superamento dei manicomi, a tutt'oggi ne abbiamo ancora 60 in pieno funzionamento. Se è vero che le vecchie istituzioni, per la verità in maggioranza sostanzialmente immodificate, non possono più accogliere nuovi degenti, a questo compito sono adibiti reparti di ospedale civile che svolgono in tutto e per tutto le funzioni repressive degli istituti di una volta. Il fatto è che la cultura e il costume restano quelli favorevoli alla reclusione e all'internamento.
La realtà manicomiale, che si può toccare perché è fatta di pareti, è ben poca cosa di fronte alla diffusione del concetto stesso di manicomialità che si fonda esclusivamente sulla persistenza del giudizio psichiatrico. Ritengo che a poco serva attaccare l'istituto del manicomio se non si porta un attacco radicale allo stesso giudizio psichiatrico che ne è alla base, mostrandone l'insussistenza scientifica. Finché non sarà abolito il giudizio psichiatrico la realtà della segregazione continuerà a fiorire dentro e fuori le pareti dei manicomi.
Per fare un paragone preciso all'interno della stessa cultura, è chiaro che non è possibile abolire la segregazione razziale senza superare il razzismo. Il tutore dell'ordine costituito o il sostenitore della moralità dei costumi tradizionale che dà il giudizio di deviante a una persona che non rispetta l'attuale tipo di organizzazione sociale (avendo pensieri o comportamenti differenti da quelli prescritti), legittima di fatto la segregazione. Diversa è la cultura di chi pensa che per la nostra specie sono possibili moltissimi pensieri e comportamenti indipendentemente dalle convenzioni.
Dal punto di vista etimologico la parola deviante deriva dal verbo deviare che significa "allontanarsi dalla via" o più precisamente come dice il Boccaccio "uscire dalla via diritta, per dirigersi altrove" o "allontanarsi dalla norma, dal giusto". Il termine deriva in italiano dal latino tardo. Da questo è stato tratto il termine politico deviazionista. Ma più tradizionalmente per identificare il dissenso dalle norme di pensiero o di costume si usano anche nel linguaggio popolare le parole matto, pazzo e folle.
La parola matto è di significato e di origine incerta, ma questo la rende utile ancora di più nella sua indeterminazione perché così la si può usare liberamente ogni volta che fa comodo. Così può essere considerata ad esempio nel significato di "bizzarro e difficile da trattare" oppure "opaco" oppure "chi ha perso l'uso della ragione". Lombroso si è anche dilettato di farne una variante col termine mattoide. E chiaro che quando si parla di "perdita di uso della ragione" sarebbe utile precisare a quale ragione ci si riferisce. Anche la parola pazzo è di etimologia incerta. Nel linguaggio di tutti i giorni viene usato spesso per definire una passione entusiastica come nelle espressioni pazzo di gioia, pazzo di felicità, pazzo d'amore. Comunque alcuni scrivono "che si comporta in modo insensato".
La parola folle deriva dal latino e aveva il significato di "mantice, sacco di cuoio, pallone" da cui deriva per metafora il significato di "testa vuota". In termini più attuali si dice "di organo ruotante quando gira a vuoto, senza trasmettere movimento"2.
La si usa per indicare pensieri e comportamenti e azioni che si allontanano apparentemente o realmente dalle nostre abitudini e dai nostri modi di pensare più usuali.
La tradizione psichiatrica che si viene formando via via dal Seicento in poi negli ospizi sulle persone lì raccolte aggiunge al linguaggio comune nuovi termini di giudizio negativo legati all'ipotesi che i pensieri e i comportamenti che non ci piacciono siano dipendenti da un difetto del cervello.
Se proviamo al contrario a considerare opinioni e comportamenti dei singoli individui senza prendere per punto di riferimento quello che pensa o che fa la maggioranza in un determinato momento storico, cominciamo ad avere uno scambio libero di punti di vista personali e di modi di fare individuali. I problemi dell'intolleranza nascono dal fatto che alla generalità delle opinioni si attribuisce un carattere di norma obbligante per tutti. Per questo è preferibile parlare di generalità e non di normalità degli atteggiamenti.
Così ad esempio posso affermare che a me personalmente non piace avere rapporti omosessuali, ma non devo considerare deviante o anormale un'altra persona perché fa scelte diverse. Una volta che si tolga alla generalità (o a quella che per moralismo si fa finta che sia la generalità) dei comportamenti sessuali il carattere di normalità e di verità, l'altro potrebbe considerare deviante me e normale lui.
Ricordo a riguardo uno degli episodi più interessanti che mi sia capitato. Era venuta da me per consulenza psicologica una giovane donna che mi aveva raccontato di avere rapporti sessuali sia con uomini che con donne. Nel parlare mi aveva chiesto se a me piacessero i rapporti omosessuali, ed io le avevo risposto di no. Fu così che mi disse: "E segno che hai dei problemi!". Così aveva rovesciato il discorso.
La semplificazione della vita individuale come la semplificazione nella storia dei popoli non serve alla conoscenza né allo sviluppo della creatività, ma è stata ed è utile alle ideologie del controllo sociale e alle dottrine del dominio e dell'aggressione3.
La ricchezza della vita dell'individuo non deve essere ridotta a schemi, né quelli della psichiatria, né quelli della psicologia e della psicanalisi.
Dall'altra parte uno studio corretto della repressione non deve confondere i vari mezzi usati dalle diverse organizzazioni di potere come se fossero identificabili o equivalenti.
Il determinismo classico, sia quello positivista che quello hegeliano, hanno allontanato il pensiero dalla conoscenza del reale e dalla complessità dell'individuo riducendo le società come caserme e stimolando la cultura dell'imperialismo.
Nel nostro secolo il determinismo semplificatore è stato, sulla base delle nuove esperienze scientifiche, giudicato inadeguato anche per le scienze della natura.